Alessandro Agresti
Leggi i suoi articoliDi fondazione trecentesca, la chiesa nacque come ospizio per malati, bisognosi e pellegrini provenienti dalla Germania: di lì divenne in breve tempo la chiesa nazionale tedesca. Furono i coniugi Dordrecht che acquisirono alcune case per dare inizio alla costruzione del primitivo edificio, che alla fine del Quattrocento si decise di riqualificare e ampliare: fu proprio in occasione di quei lavori che venne rinvenuto un antico affresco con Maria tra due anime del Purgatorio che diede poi il nome alla attuale chiesa.
La facciata, attribuita ad Andrea Sansovino, terminata da Giuliano da Sangallo nel 1542, è uno dei più begli esempi di architettura rinascimentale che ci siano pervenuti nella Capitale, nell'equilibrata e razionale ripartizione dello spazio scandito da semicolonne sottili che ne rendono le proporzioni slanciate. Le grandi finestre conferiscono una certa ariosità all’architettura, che quasi contrasta con l’interno, dove è sopravvissuta l’antica ripartizione a tre navate tutte della stessa altezza, secondo i dettami nordici, con cappelle semicircolari che si aprono ai lati, e dove è un sontuoso altare maggiore.
Una carrellata di capolavori accoglie il visitatore: si inizia con la tomba di Adriano VI, su progetto di Baldassarre Peruzzi, un vero e proprio arco trionfale dove le virtù cardinali incorniciano un bassorilievo encomiastico e la suggestiva immagine del Pontefice che pare sul punto di svegliarsi, nel giorno del giudizio. In realtà un primo monumento di trovava a San Pietro, tra quelli di Pio II e Pio III: celeberrima la pasquinata che lo colpì «Hic jacet impius inter Pios».
Passiamo poi agli affreschi del Salviati, dove una roboante «Resurrezione» e una commovente «Pietà» sono incorniciati dalle grottesche più fantasiose, alle due pale d’altare di Carlo Saraceni, tra i più eletti esempi della prima stagione caravaggesca romana, quindi al dipinto dell’altar maggiore di Giulio Romano, la celeberrima Pala Fugger, ancora esposta nel luogo per il quale venne concepita: venne restaurata da Carlo Maratti in persona, protagonista di una gustosa storia.
Il «Principe» dei pittori romani infatti, dopo quel soddisfacente restauro, venne richiesto dai canonici di Santa Maria dell’Anima per una pala con «La Natività della Vergine», forse non del tutto coscienti del compenso esoso che sarebbe stato richiesto: in corso d’opera decisero di revocare quella commissione per «esser meglio impiegar quei denari in una vigna a Genzano essendo quel vino buono»; l’opera venne prontamente acquistata dal conte di Schaumburg-Lippe e fino a tempi recenti è stata custodita nel suo castello di Bückeburg.
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